K-words: sogni, obiettivi, lavoro, merito e successo.
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Cosa hanno in comune lo scrittore francese François de La Rochefoucauld (1613-1680) e Harvey Specter, l’infallibile avvocato protagonista della serie Suits? Direi nulla ma, se il primo fosse ancora vivo e se il secondo esistesse davvero, oggi i due forse avrebbero argomenti da condividere a colazione.
Celebri per le loro massime, che il primo pubblicò e che contribuiscono al fascino del secondo, entrambi hanno una chiara idea di cosa serva per raggiungere il successo. Secondo lo scrittore francese “Esiste merito senza successo, ma non esiste successo senza qualche merito”, mentre per la persona che tutti gli uomini vorrebbero essere e che lo donne vorrebbero avere [Harvey], “l’unica volta che il successo [success] viene prima del lavoro [work] è nel dizionario”. Quindi, se per il primo il vero successo non può dipendere dal caso fortuito, per il secondo la fortuna non esiste, puoi solo creartela.
Sogni, obiettivi, lavoro, merito e successo sono quattro variabili di un’espressione fondamentale che le ultime due generazioni (X, Y) non sempre ricordano. D’altronde, come ci ricorda Gordon Gekko nel suo celebre discorso in Wall Street 2, siamo la “generazione dei tre niente: niente lavoro, niente reddito, niente risorse”. Queste tre parole hanno pesato molto nel percorso formativo soprattutto dei millennials (1980 – 2000), al punto di renderli la generazione della transitorietà per eccellenza, una generazione di collezionisti di esperienze lavorative troppo spesso diversificate, limitando, di fatto, la possibilità di sviluppare senso di appartenenza e di godere dei risultati della propria dedizione.
Se le condizioni di contesto non favorevoli rispetto al passato sono note, da riscoprire è il ruolo che vogliamo esprimere in un mondo nuovo, in rapida evoluzione, globale e sempre più interconnesso. Vi offro il mio personale punto di vista che si sviluppa lungo quattro direttrici per me fondamentali e sopra citate.
I sogni.
Harvey Specter non ha sogni perché ha solo obiettivi da raggiungere, non ama avere emozioni ma è disposto a sfruttarle. Io penso sia semplicemente impossibile poter ambire al raggiungimento di grandi obiettivi senza la capacità di sognare. Per rendere meglio l’idea, affermare l’irrilevanza del sogno sarebbe come ammettere che un marmista esperto nell’uso dei suoi strumenti e intenzionato a diversificare la propria attività avrebbe potuto realizzare un’opera sublime come la Pietà del Michelangelo. Il sogno stimola la visione che accende la passione, unica vera forza motrice per fare davvero la differenza. Ma la vera domanda è: siamo ancora capaci di sognare? Mario Calabresi, nel libro “Cosa tiene accese le stelle” sostiene che troppo spesso ormai sogniamo con il freno a mano tirato.
Per il 2016 auguro a chi si ritrova in questa condizione di poter riprendere a sognare. Attenzione però che sognare non è sinonimo di fantasticare, ed è per questo che il buon sogno della notte deve trasformarsi in obiettivo chiaro del mattino con cui fare colazione.
Il lavoro.
Mio nonno, insegnante di storia e filosofia di un paesino della Basilicata, quando andava a lavoro diceva che “andava a faticare”. Mio nonno aveva avuto la possibilità di ricevere un livello di istruzione elevato e sapeva bene che il termine lavoro deriva dal latino labor con il significato appunto di fatica. Tuttavia, c’è stata un’epoca storica nemmeno troppo lontana nel tempo, nella quale il lavoro era davvero una fatica per molteplici ragioni, come lo sforzo fisico necessario, l’assenza di tecnologie di supporto e la mancanza di adeguate tutele. Per fortuna il mondo è profondamente cambiato negli ultimi cinquant’anni e chissà quanto ancora cambierà nei prossimi venti. Siamo alle porte di una nuova rivoluzione industriale, quella nota come “Manufacturing 4.0”, ossia quella rivoluzione che porterà uomini, macchine e sistemi computerizzati ad interagire in modo del tutto naturale. Sempre per rendervi l’idea, provate ad attualizzare l’immagine di stupore che avrebbe un operaio degli anni cinquanta all’interno di un’industria nella quale siano presenti robot in grado di pensare, superando a pieni voti il test di Turing. Il punto della questione è semplice: mai come oggi il lavoro può e deve essere concepito come un’espressione delle proprie potenzialità e della propria personalità. Pensateci, la rivoluzione scatenata dal web ha avuto il pregio di metterci a disposizione molteplici innovazioni in grado di amplificare la nostra capacità individuale, tassello determinante di un’intelligenza più ampia e distribuita grazie alle infinite interconnessioni della rete. Se avete capito il senso profondo di quello che ho scritto, voi potrete accettare che io eviti di scrivere della crisi economica, della disoccupazione e del precariato. Ogni epoca storica ha avuto i suoi limiti e così anche quella che stiamo vivendo adesso.
Per il 2016 vi auguro di prendere coscienza dei limiti che comporta l’essere focalizzati sui limiti e di quanto, invece, siano fluide e diffuse le molteplici opportunità che caratterizzano il tempo che stiamo vivendo. Solo così sarà possibile trovare un lavoro da amare, come io amo il mio.
Il merito.
Esistono svariate modalità di definire e misurare il merito. Io misuro il merito come il numero di unità di tempo non sprecate per dimostrarsi efficaci nel raggiungimento di un obiettivo. Il tempo non deve essere sprecato perché è una di quelle poche risorse che non possiamo rigenerare. Il tempo perso è perso e non si recupera: ficcatevelo in testa!. Essere efficaci significa essere affidabili, una parola che io adoro. Una persona affidabile è una persona in grado di stupirti sempre perché è in grado di farsi carico di una sfida, usando contemporaneamente l’emisfero sinistro e destro del cervello. E’ quindi una persona sufficientemente analitica per avere una visione olistica della situazione di sfida affrontata e ampiamente creativa per elaborare soluzioni originali che siano il frutto di un’abile capacità di collegamento degli elementi a lui noti. Infine, una persona affidabile è in grado di impegnarsi, scegliendo quel corso di azioni che lo condurranno al raggiungimento di un obiettivo chiaro e desiderato. Ça va sans dire che una persona affidabile raggiunge sempre l’obiettivo.
Penso che nessuno di voi vorrebbe lavorare in un contesto non meritocratico. Eppure credetemi che è molto difficile mantenere nel tempo la condizione dell’essere meritevoli. Un vecchio detto popolare sostiene che ogni 14 azioni svolte, una si dimostra sbagliata. Se fosse vero questo detto, oltre il 7% di quello che farete sarà di certo un errore che, all’interno di certi limiti, potrebbe non essere un problema visto che sbagliando si impara. Il vero problema si presenta quando le 14 azioni non vengono svolte all’insegna dell’efficacia o peggio ancora quando non vengono svolte perché stiamo sprecando tempo. La somma delle azioni certamente sbagliate con le azioni sprecate e quelle perse rappresenta la formula certa del demerito che, per essere evitato, richiede tanto lavoro e tanta dedizione.
Il mio hashtag preferito è #maifermarsi (ora anche #mainelmezzo n.d.r) anche se molte volte mi sono chiesto se ne valesse davvero la pena. Tutte le volte che ci ho pensato non ho potuto che concludere con il chiedermi se esistessero delle valide ragioni per fermarmi o per ridurre il livello di dedizione che applico ogni giorno al lavoro che amo: ovviamente, non ne ho trovate.
Per il 2016 vi auguro di non trovare nessun motivo per il quale valga la pena fermarsi e di poter avvertire, almeno una volta, il piacere che si prova quando ci si sente affidabili nei confronti di persone che stimiamo.
Il successo.
Qualche riflessione conclusiva sul successo penso siano d’obbligo in un semestre accademico dominato da #hashtag quali #Falcon e #RoadToPanfilo, all’interno di una visione delle leggi dell’economia come strumenti per raggiungere adeguati livelli di ricchezza.
Quando lasciai il mio primo lavoro per iniziare il mio dottorato in università, un mio mentore mi regalò il libro di Stephen R. Covey, intitolato “I sette pilastri del successo”. Penso di aver letto più di una volta quel libro e infinite volte la dedica scritta all’interno che recitava qualcosa del genere: “Non lavorare mai per il successo ma cerca di costruirne i suoi sette pilastri. Il successo arriverà di conseguenza”.
Vi risparmio la descrizione accurata dei 7 pilastri perché preferisco concludere con una sintesi di quello che ho imparato sul successo da mentori di successo con cui ho avuto l’opportunità di collaborare: 1) i soldi non sono il successo, sono una delle possibili unità di misura dello stesso. Attenzione a non confondere il fine con il mezzo; 2) il successo è una condizione mentale che non ammette scuse: se punti a perdere poco, non potrai mai vincere abbastanza; 3) il successo non può essere autoreferenziale e, per esistere davvero, ti deve essere riconosciuto; 4) un successo per essere riconosciuto implica un merito che sia davvero tale agli occhi di un numero sufficientemente ampio di persone; 5) Un merito riconoscibile agli occhi delle persone implica, a sua volta, la nostra capacità di essere affidabili all’interno di un ampio network di relazioni; 6) Per diventare affidabili e per sviluppare un ampio network di relazioni serve tempo; 7) di tempo non ne abbiamo mai abbastanza ed è per questo che non andrebbe mai sprecato.
Per quello che vi ho appena scritto, io non sono nella condizione di poter concludere se Enjoy Your Learning sia un successo o meno. Quello che posso dirvi è che siamo seguiti sia dagli studenti che da manager e professionisti. Penso che siamo seguiti grazie a qualche merito frutto della nostra incessante capacità di evoluzione, semestre dopo semestre, per dimostrarci affidabili nell’ideare prima e sperimentare dopo innovazioni didattiche a supporto di una migliore esperienza di apprendimento in aula. Penso che siamo seguiti anche perché, pur in assenza di risorse, siamo riusciti ad imporre un cambiamento e a dare speranza a tanti giovani che, grazie al lavoro di tutto il team di EYL, hanno avuto la possibilità di scoprire un proprio talento e di trovare anche un lavoro.
Per il 2016 vi auguro di trovare i pilastri della vostra idea di successo e ci auguriamo di poter meritare la vostra attenzione per continuare con più motivazione il nostro cammino di sperimentazione nell’innovazione dei percorsi di apprendimento.
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